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Channel: I filmorri
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Il fatto è che ha quel finale lì

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Credo che un critico di cinema direbbe che The Texas Chain Saw Massacre è un film sociale. Io non saprei bene cavar fuori fino in fondo il significato di questo film, importante negli States come qui in Italia, nonostante le alzatine di spalle che ha generato e continua a generare già solo per il tristemente didascalico titolo con cui ci è noto, ovvero Non Aprite Quella Porta. Comunque è dura non accorgersi, anche da omino qualsiasi che guarda i filmorri, che c’è un macigno di sottotesti e di contestualità, insomma, erano gli Stati Uniti in quegli anni lì, nessuno aveva mai dipinto al cinema l’America rurale come un luogo di corruzione dell’anima, di solitudine e di perversione sessuale e religiosa, e c’è tutto quel siparietto agghiacciante della famiglia in stile sitcom anni 50 completamente denaturata e stravolta, con tanto di padre burbero, figlio scemo e figlio timido ed effeminato, e un sacco di altre cose che ne fanno un fim “coinvolto”.

Se ti piacciono i filmorri, devi necessariamente quantomeno riconoscere al film l’impatto stilistico e culturale che ha avuto nel genere. Ogni volta che mi ritrovo a sghignazzare, applaudire o lanciare poppicorni quando vedo in un film una motosega, la scritta “ispirato a una storia vera”, serial killer blasfemi o la cumpa di amigos la cui sfrenata vacanza nella natura degenera in torture in un casotto nel deserto, con tanto di vecchio corrucciato che li informa del pericolo, devo rendere onore a Tobe Hooper, che per primo ha regalato tutto ciò all’umanità.

Comunque c’è di più, credo. Forse è quella colonna sonora, non ci avevo fatto tanto caso la prima volta, tutto sto bordello di stridii, fruscii, corde di chitarra torturate, clangori che si mescolano continuamente con i suoni del film, o forse è il fatto che il vecchio corrucciato è quel vecchio, e non è nemmeno corruciato, è ubriaco e ride e piange e ha QUELLA faccia.

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O forse ancora è il fatto che vedi continuamente quel sole, e hai caldissimo anche tu, e mentre aprono quella porta tu vedi anche gli esterni, con quei silenzi, e che l’azione c’è sempre anche quando non sta succedendo un cazzo, lo senti proprio che il film rotola verso qualcosa di gigante e non puoi sapere cos’è, e la precisione con cui vengo allestite le stanze della casa, la precisione di un architetto sensibile e turbato che ti trasmette quel terrore sacro che sa trasmettere solo chi veramente ha paura di QUELLE cose.

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Ma credo che la cosa più grossa siano quegli ultimi venti minuti, non cinque minuti, non dieci, ma venti minuti consecutivi di finale in un film da un’ora e venti, perché non si ferma mai, da quando si vede tutta quella carne rossa nella griglia il film non si ferma più, cazzo, non respiri, galoppa folle verso quell’ultimo secondo, con tutto quel sudore, quel sangue, quelle ossa, quel casino, quelle risate e QUELLA leggendaria inquadratura finale in un tornado di urla, rombo di motosega e fischi di chitarra fusi in un unico grido, prima che il film svenga nei titoli di coda. Cristo santo, questa bomb’atomica compie quarant’anni e ancora spacca il culo a tutti, ecco cosa c’è.

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