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Caseario

Tutti i fimorrari hanno un’opinione su Dario Argento. Oscilla generalmente tra il “importante, qualche capolavoro c’è, non male fino a X, ma tutto sommato fregasega” e il “genio totale, ho il santino in camera, se lo sfotti ti alzo le mani nonostante tutto quello che ha fatto da dopo X”. Se ti fregasega, mi irriti abbastanza ma capisco. Se come me sei più sul versante santino, si può determinare il film X e il film preferito, e poi elucubrare sulle finezze e sul rapporto personale con la filmografia. Non ho fisicamente il santino in camera, ma mi sono rifiutato di vedere Dracula 3D, e quando svariate persone mi hanno detto guardalo guardalo anche solo per il LOL, ho fatto gnegnegne con le mani sulle orecchie. Mi dispiace sinceramente che un grande come lui sia finito così, poteva smettere prima, ma tiratemi voi fuori uno che abbia nella cartuccera un numero superiore a 5 filmorri incredibili e poi ne discutiamo, se ancora gli danno i soldi per girare cosa dovrebbe fare, e insomma mi pare di essere stato chiaro.

Nel mio caso il film X è categoricamente Opera (Trauma, diciamocelo una volta per tutte, è una cacata insopportabile, magari non moscio, svogliato e stupido come i successivi, ma comunque NO) e il preferito è un Suspiria trattabile. La mia paura infantile più intensa è quella delle streghe, e pur non ritenendomi particolarmente suscettibile al sovrannaturale, la vecchia pazza del paese che fa roba strana di notte e ti guarda torva quando la incontri mi fa ancora solidamente accapponare la pelle.

Ho un ricordo nitido di un incubo ricorrente che mi faceva svegliare di soprassalto quando avevo cinque-sei anni. Sono da solo in casa mia, in attesa di mia madre e mio padre, usciti da poco per andare a recuperare una sorpresa per me. Sono seduto a tavola, le spalle alla porta di ingresso e ho davanti a me un piatto fondo con degli avanzi di formaggio tipo ricotta. A un certo punto si apre la porta e sento un lento incedere di tacchi, accompagnato da un fetore dolciastro. Non ho la forza di girarmi, e i passi si avvicinano. Chiamo a gran voce i miei, senza risposta. All’ultimo mi giro di scatto e vedo una mano grinzosa e unghiuta che mi spinge la testa nel piatto, tentando di soffocarmi nel formaggio.

In Suspiria la rappresentazione della congrega di streghe come professoresse di una prestigiosa e misteriosa scuola di danza è solo in parte sperimentale. Il vecchio Dario, da tamarro qual era, spinge un’idea old school di strega, con unghiazze, rughe, malocchi e vendette sadiche. Le donne regnano sussurrando nell’ombra sul come, sul cosa e sul quando, e i due principali personaggi maschili sono un muto e un sordo, ad accentuare la sottile quanto terrorizzata misoginia della pellicola. Onestamente, me la faccio sotto ogni volta che lo vedo.

Tutto il resto della produzione argentiana up to X=Opera incontra comunque i miei calorosi favori. Li guardo sempre volentieri e mi prendono ogni volta visceralmente. Passo sopra la valanga di difetti registici del vecchio Dario quasi senza battere ciglio, e mi godo genuinamente lo show anche nei film più furbastri e tirati per i capelli (tipo Opera). L’unica seria singolarità in questa amicizia, l’episodio di incomprensione mai chiarito, è Inferno. Curiosamente, il primo suo film che ho visto. Ero quindicenne, e non so nemmeno se l’ho nemmeno visto per intero, si era tra amici e lo davano in TV in terza serata. Mi ricordo nettamente la colonna sonora un po’ ridicola (che per motivi non meglio definiti posseggo) e le poverissime scene con gli animali. Mi aveva fatto piuttosto cagare.

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inferno2

La seconda visione risale a circa dieci anni dopo, ovvero un paio di settimane fa. Il film è uno dei suoi più spaventosi in un certo senso, ma è comunque molto brutto. Il punto è che ho sempre avuto l’impressione che il vecchio Dario abbia realizzato ogni suo film partendo da una visione nitidissima delle scene horror e di alcune minuzie estetiche (titoli di testa, scene di sogno, colonna sonora), e il resto del lavoro si sia svolto nell’espansione e incollamento delle stesse. Quando si guarda un film di Dario (anche i migliori) ci si imbatte sempre in dialoghi inutili, scenette ironiche da stringere i braccioli della poltrona per l’imbarazzo e personaggi secondari ridicoli, tutto perdonato grazie ai momenti in cui uno grida MINCHIADARIO. Il MINCHIADARIO arriva puntuale quando, senza preavviso, si fa sul serio, e possiamo godere di tutta la potenza di un uomo che detta l’estetica dell’omicidio. Il gusto estremo per la psichedelia tipico dei suoi film degli anni 70 lascia nella storia del cinema horror uno degli stili meglio definiti ed accattivanti di sempre e io per questo gli voglio BENE, ed è un piacere constatare che non sono l’unico a pensarla così. Purtroppo, in Inferno non arriva quasi mai il MINCHIADARIO. Le scene d’orrore sono comunque efficaci, ci mancherebbe, ma il collante è scadente oltre ogni immaginazione. La trama non ha un senso che sia uno, e ogni momento è ovattato dalla mancanza di mezzi, di ispirazione o forse solo di voglia. Il tentativo di risvegliare la magia di Suspiria fallisce in toto in questo sequel: Dario riutilizza male idee, attori e colori, indugia nell’autocitarsi, e abbozza malamente il contesto che dovrebbe dar senso alla saga delle Madri (che infatti terminerà rotolando rovinosamente ne La Terza Madre, notoriamente il film più brutto dell’universo).

C’è solo un momento che mi ha seriamente colpito in Inferno. Alla ricerca di informazioni, il personaggio di Sara tenta di sottrarre un libro in una biblioteca. Sbaglia uscita e si ritrova a caso in un antro medievale con ampolle, pentoloni, ossa e quant’altro, e uno stregone vestito da cuoco la costringe a restituire il libro. Il metodo con cui la costringe è spingerle la faccia dentro un pentolone, ove ribolle un intruglio somigliante a del formaggio fuso, o polenta concia. Non si vede la faccia dello stregone. E ha la mano grinzosa e unghiuta. Anche l’odore dolciastro ricorre nel film.
Vai a capire, magari ho visto la scena da bambino e ci sono rimasto, non me la ricordavo. Minchiadario.

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inferno


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