Anche se con un po’ di ritardo, mi preme dire la mia sul miglior filmorro dell’anno passato. Internet trabocca di classifiche e se uno si mette lì a frugare trova un ubiquo The Babadook come culmine filmorrico del 2014, trend solidificato da un’istituzione come Fangoria. Tra la concisa lista concordata dalla redazione tutta e il più puntuale classificone corredato dalle scelte dei singoli redattori, Fangoria ci fa dono della terza (in qualche modo fastidiosa) scelta di proporre solo le classifiche separate dei redattori, e l’esordio di Jennifer Kent è l’unico presente in ognuna di queste. Io l’ho visto, mi è piaciuto molto e ci ho pensato.
In effetti The Babadook è un film NIENTEMALE. In brevissimo: la protagonista del film Amelia ha sul groppone il trauma mai superato della morte del marito, avvenuta il giorno della nascita del vivace figliolo Samuel. Il mostro dell’abbandono esce di metafora manifestandosi nel Babadook, inquietante spauracchio protagonista di un libro pop-up apparso misteriosamente tra le fiabe della buonanotte per Samuel. Il tormentato rapporto tra madre e figlio degenera gradualmente fino alla follia di Amelia, scandita fino al suo culmine dalle apparizioni sovrannaturali/allucinatorie del mostro.
Niente male eh? La Kent fa il checkpot miscelando un dramma attento e puntuale che si avvale delle interpretazioni ottime dei suoi protagonisti con una perfetta economia della tensione: atmosfera bastarda nella prima metà, scenone horror come se piovesse nella seconda. Come filmorro a tinte drammatiche non cade né nell’errore dei suoi parenti spagnoli (The orphanage, La spina del diavolo…) di puntare tutto su una mediterranea e soggettiva empatia a discapito della sacrosanta missione di far cacare addosso lo spettatore, né tantomeno nell’Amytivillismo, ovvero l’utilizzo dell’icona della famiglia problematica come scusona per prendere tempo prima di iniziare a sterronare con i fantasmi (come in The conjuring, per dire).
In effetti si potrebbe addirittura dire che The Babadook sia un filmorro PERFETTO. Sì dai! Perché c’è tutto quello che serve alla fine! La cura del dettaglio è quasi maniacale, e il plateale parallelo con Shining, più che una citazione, è un raffinato omaggio, che assieme a numerosissimi richiami ad altri filmorri (su tutti, l’Esorcista) fa della Kent, diciamolo pure, una dei nostri. Affronta un tema difficile con la dovuta serietà, aprendosi così alla stampa non specializzata e a platee disomogenee; il pregio spesso sottovalutato dell’universalità di un filmorro potrebbe in un futuro non lontano permettere alla Kent il privilegio del mid budget, sempre più raro nell’horror contemporaneo. In più il film, lo giuro, fa davvero supermegapaurissima, nessuno potrebbe mai dire una cosa del tipo “alla fine non è un vero e proprio horror” o cazzate simili. La mia signora ci ha pure avuto gli incubi.
Disclaimer: a breve, comincerò a frignare. Siccome non è possibile vedere la mia faccia mentre scrivo, mi sento in dovere di precisare che se lo faccio è solo grazie al fatto che il 2014 e’ stato un ottimo anno per i filmorri, perché altrimenti non mi azzarderei mai a dire che…
…The Babadook è un film SECCHIONE. La Kent, che lavora da vent’anni nel cinema, confeziona un esordio algido e, seppur brillante sotto tutti gli aspetti, così tremendamente sensato da risultare canonico. Canonica è la scelta dell’oggetto-chiave: il libro pop-up è un vessillo intellettuale dei giorni nostri, col suo fascino nostalgico ed emocapitalista e nel suo sottolineare il piacere della carta ai tempi della schermocrazia. È canonico l’illividimento progressivo dei colori, di pari passo con la germinazione del male nei personaggi. È canonico (e sensato) mantenere la bidimensionalità del mostro e di limitarne le apparizioni fisiche, lasciarlo intuire come nella scena dell’allucinazione al commissariato, che è poi la più secchiona di tutte. E soprattutto, madonna, è TURBOCANONICO il finale, che coagula in maniera logica, comprensibile e ragionevole il dramma e la sua metafora. Il finale di The Babadook è Hegelianamente sintetico, e non deflagra né stupisce davvero perché è GIUSTO. Secchiona maledetta.
Siccome pure io sono un secchione, ho sempre avuto una fascinazione naturale per l’altra sponda: l’horror che punta all’infrangimento radicale delle frontiere dettate dalla storia del genere e dallo status quo, assumendosi i numerosi rischi del caso; l’horror fatto con furia o per scherzo, l’horror di pancia insomma. È per questo motivo che, per dirne una, amo il cinema di Fulci, pellicole imperfette, esagerate finché si vuole ma, Cristo, piene di cuore, forza ed estremismi visivi. E’ per questo che non riesco ad odiare Rob Zombie, autentico individuo cosmico-storico dell’orrore post 2000, adorabile coglione ignorante, incapace fisicamente di eccellere, MA con uno spirito e un amore supremi nel petto.
Io sono razionalmente certo che Rosemary’s baby sia il filmorro piu’ “bello” e “importante” di Polanski, con quel suo bel finale agghiacciante quanto elegante ad esaltare la raffinata allegoria del male nella società. Ma il finale dell’inquilino del terzo piano!? Cosa c’e’ di piu’ appagante di quel capronissimo e perfetto twist? “Ora il significato arriva, tranquillo, ma tu intanto FICCA QUELLA CAMERA IN BOCCA A QUELLA MUMMIA URLANTE PER PIACERE.”
Curioso che le due influenze principali dell’opera siano la coppia di filmorri più adatti a capire questo divario tra cuore e cervello. Da una parte, la labirintica e granitica geometria di Shining, la solitudine che si fa orrore che si fa pongo decostruibile nelle mani del secchionissimo Kubrick, l’osanna della critica e i compiti a casa per Nickolson: guardare Erhasered tre volte al giorno, diventare il cattivo più iconico, suggestivo e pagato del mondo. Dall’altra, il viscerale magma dell’Esorcista, l’orrore che si fa orrore, le ossessioni religioso/documentaristiche di Friedkin, le fottute ambulanze fuori dalle sale, gli spari a salve sul set e la vita della Blair mandata a puttane in nome del male.
Ora, il mio cervello accetta pacificamente e gioiosamente che The Babadook sia (perché, accidenti a lui, lo è) il miglior filmorro del 2014. Ma il mio cuore si scioglie per l’ironia femminile e coraggiosa di Honeymoon, per la botta in vena di malinconia post-puberale di It Follows, per le seghe snob e incattivite di The Sacrament. Sono film a volte zoppicanti, impuri, limitati, ma, cazzo, rivolti nella direzione migliore di tutte: AVANTI.