Quantcast
Channel: I filmorri
Viewing all articles
Browse latest Browse all 8

Body Bags e l’ironia senza meta

$
0
0

Gli anni 90 sono stati una fase di triste declino per l’horror mainstream americano che, non uscito vivo dai gloriosi anni 80, ha subito tutte le mutazioni tipiche di un genere che passa di moda. L’horror più digesto e accettato è contaminato o pretestuoso; si mescola con il thriller (Il silenzio degli innocenti, Seven), con il supereroistico (Blade, Il corvo) o viene incanalato episodicamente nel mid budget autoriale (Jacob’s ladder, The ravenous, Strade perdute, Bram Stoker’s Dracula). I mostrazzi e i fantasmi sono cose per ragazzini, unico pubblico preso veramente in considerazione dall’industria dell’horror al tempo (Buffy, Piccoli Brividi, Tales from the crypt). Il monster movie più importante del decennio è un film per famiglie con i dinosauri.

Un segno importante per individuare una fase di declino di un genere è quando comincia a spingere sull’autoironia con troppa verve. Wes Craven ne da’ un esempio tipico: in Scream fa raccontare, interpretare e vivere il cinema dell’orrore a ragazzetti che sono cresciuti guardando Nightmare, in un brillante e spassoso assolo di “meta” e autoreferenzialità gradassissima (che funziona solo lì, nonostante i pietosi tentativi di Craven di riprovarci con Nightmare 6 e Scream 2). Mentre questa idea viene malamente rielaborata e ritritata fino al suo insostenibile culmine in Scary Movie, arriva una ventata d’aria fresca al mainstream: il torture porn, l’horror asiatico, la new french extremity, Rob Zombie, Del Toro, i found footage, ovvero le basi per i filmorri degli anni zero, di cui secondo me non c’è poi da lamentarsi.

Scream

Due horror notevoli che recentemente hanno riscosso un successo commerciale sono the Conjuring e Quella Casa nel Bosco (escludo il remake de La casa perché sarebbe un discorso doloroso da affrontare con obiettività). Il primo firmato da Wan, ormai quasi una vecchia gloria, film cazzutissimo ma per nulla geniale, comunque una mosca bianca. L’altro è il perfetto equivalente di Scream nell’era della comunicazione e dell’ironia saccente: lo spettatore che da ragazzino guardava Buffy si siede accanto al suo creatore e sfotte con lui gli stereotipi del genere. Come prima, divertentissimo vortice di “meta” e orrenda puzza di morte del genere.

Cabin-in-the-woods-Whiteboard

L’ironia e l’autoconsapevolezza sono sempre state caratteristiche pregnanti dell’horror, che si autocita e ricorda continuamente a se stesso e al suo pubblico di essere il genere più vecchio del mondo. Il vago sconforto che provo quando ripenso a Quella Casa nel Bosco o a Scream è dovuto alla fusione di queste due caratteristiche, ovvero la subdola e insincera autoironia dei due film. Il fatto è che i filmorrari sono spesso visti (o peggio, vedono loro stessi) come una massa di sfigati, e in tempo di crisi è strategicamente vincente proporre loro pellicole gonfie di inside jokes e pacchette sulle spalle, perché non si sentano perduti. Mi sono divertito anche io a giocare a chi beccava più riferimenti nella scena della cantina in QCNB, e il mio immedesimometro ha toccato le stelle quando i protagonisti di Scream discutono sul possibile assassino persi tra gli espositori di una videoteca. Gli horror di cui si avrebbe più bisogno in mancanza di novità non sono però indulgenti infusioni di know how e ironica disillusione, ma di pellicole che non si scordino di spaventare, sanguinare, fare casino e mandare avanti la baracca. L’esempio perfetto (e tristemente isolato) è quel capolavoro di Drag me to hell. Se questo ruolo di spaventatore onesto oggi nel mainstream è essenzialmente giocato da Wan (nell’indie sono in tanti, ma sono sempre tanti, grazie a dio), negli anni novanta fu di Carpenter. Il seme della follia è tutto questo, con l’aggiunta di autovonsapevolezza e ironia (mescolati, non shakerati). Anziché giocare a puntare il postmoderno ditino dal pulpito del grande antico come quel paraculo di Craven, Carpenter punta a una seria riflessione sul genere negli anni 80 e su uno dei suoi motori principali: Stephen King. Ci parla di immedesimazione, fanatismo e scetticismo, e dice la sua nel modo più meraviglioso possibile: inneggia alla vita del genere girando un capolavoro dello stesso, onesto, spiazzante e, cazzo, divertentissimo.

mouthofmadness

Recentemente la Scream Factory ha ridistribuito una perla perduta del ’93: Body Bags. Trattasi di un film per la TV composto di tre mediometraggi, due a firma di Carpenter e uno di quel brav’uomo di Tobe Hooper.

Il primo episodio (“The gas station”, Carpenter) è un vero bignami del Carpenter più western: personaggi marcatissimi e memorabili, dialoghi sfrontati, automobili, gore. C’è una pulzella nera spaccona che ha il turno di notte dal benzinaio. La radio dice che un assassino seriale si aggira in zona. Un po’ di gente passa di lì. Uno di loro è l’ammazzone, e vai così Johnny, chi ti ferma.

Il secondo episodio (“Hair”, Carpenter) è la cosa più esilarante che ho visto da sei mesi a questa parte, quindi lo spiego un attimo. Un tizio con una faccia perfetta per il ruolo che va a intepretare è ossessionato dalla sua calvizie. Scopre una portentosa azienda tricologica che nessuno conosce e in quattro e quattr’otto si trasforma in Demo Morselli. Ovviamente c’è la frecata in culo: l’azienda è gestita da alieni che piantano in testa larve dentate e piliformi agli allocchi pelatoni, e nello sbando fracassone post-twist tutto finisce allegramente a schifo, tra le risate smodate del sottoscritto. La trama sembra una di quelle dei Piccoli Brividi più scemi (Gallina Gallina, o anche solo Un barattolo mostruoso) ma è girato da Carpenter. Un vero capolavoro della demenza.
(Una piccola parentesi sul nemico nei film di Carpenter: gli antagonisti degli eroi del buon Johnny sono di solito di due tipi:
1) forze crudeli, determinate e massive con annesso metaforone sociale (Essi vivono / The fog / Distretto 13);
2) loro stessi, o le proprie paure (Christine, Il signore del male, La cosa).
Tutto ciò per dire che per quanto possa suonare balzana l’idea di eleggere ad antagonista i propri capelli alieni, è tuttatia solidamente coerente con la poetica dell’autore.)

Body-Bags-Hair

Arriva poi Hooper, che fa la figura di quello che dice “su ragazzi, ora un attimo di serietà” prima di scoppiare a ridere pure lui. Il suo episodio “Eye”, come il precedente “Hair”, si colloca in quell’adorabile sottogenere dei filmorri sovrannaturali che coinvolgono un trapianto di organi maledetti. Vista la premessa uno non direbbe che si possa mantenere un tenore di serietà, e infatti non succede: se all’inizio la storia del battitore accecato e del suo occhio trapiantato da un serial killer thrilla e inquieta, finisce tutto prorompentemente in uno tsunami di esagerazioni chiassose, sia pure altamente godibile.

L’elegante filo rosso che tiene insieme il film è un Cicerone/omino dell’obitorio i cui siparietti inframezzano gli episodi. Trattasi proprio di Carpenter, con la sua faccia da zarro coperta di cerone, che con tono irriverente e sghignazzone à la Tales from the crypt ci regala momenti di alta classe, come quando fa limonare tra loro due teste mozzate.

Body bags carp

Il film è tra i più spassosi e scascioni che ho visto in vita mia, c’è il gore, c’è tutto l’allegro baccano domenicale di abbracciarsi tra appassionati, un esercito di cammei d’eccezione (Corman, Hooper, Craven stesso, e il mio preferito in assoluto, Raimi nel ruolo magico del morto che ti casca addosso quando apri troppo in fretta un armadio), ironia sparata con l’idrante ma quasi neanche una goccia di “meta” del cazzo. Sembra di stare a una cena di Natale tutto ubriaco con i parenti che hanno tutti la faccia dello zio pirla che ti racconta la solita barzelletta che finisce con la parola “culo”, e tu ti spacchi dal ridere perché va bene così, fa sempre ridere.

Body bags Raimi

Adoro che esistano film del genere, e la mia gratitudine a Carpenter per questo è infinita. Peraltro, pensavo che con The ward l’avessimo perso del tutto, e invece da quache mese è uscito un suo disco composto da inediti mai inclusi in sue colonne sonore. Il disco trasuda nostalgia ed è al contempo modernissimo, come tutto quello che John fa peraltro. Carpenter ha dichiarato che vorrebbe che qualcuno utilizzasse i suoi pezzi in qualche nuovo film, in attesa che qualche grand’uomo lo faccia saranno la colonna sonora della vita di noialtri, anzi adesso sai che faccio,
mi metto il disco in cuffia,
il cappello da cowboy e gli occhiali da sole,
vado in posta e faccio la fila,
controllo che l’impiegato non sia in realtà un alieno cattivo,
se non lo è vado a casa tranquillo, ma se per caso lo è
scatta il corpo a corpo.


Viewing all articles
Browse latest Browse all 8

Trending Articles